Giacomo Manzù: la riemersione del figurativo, la fedeltà al dato reale e l'apparente disinteresse per ogni forma dello sperimentalismo stilistico del suo secolo e delle Avanguardie.
Giacomo Manzù, pseudonimo di Giacomo Manzoni, scultore (Bergamo 1908 - Aprilia 1991). Di famiglia povera, incominciò giovanissimo a lavorare come intagliatore e stuccatore pur aspirando ad apprendere l'arte della scultura in cui si sarebbe esercitato solo intorno ai vent'anni, frequentando il libero corso dell'Accademia Cicognini a Verona.
Finito il servizio militare si recò a Parigi, era l'anno 1931. Nel 1933, invece, si stabilì a Milano. Nel 1941 fu nominato insegnante di scultura all'Accademia di Belle Arti di Brera, dove tornò nel 1945, dopo alcuni anni di insegnamento all'Accademia di Torino.
La Posizione di Giacomo Manzù nel quadro dell'arte contemporanea è apparsa come eccezionale per la fedeltà ad una visione figurativa che forse soltanto in lui, fra gli artisti della sua generazione, si realizza con piena validità poetica malgrado l'apparente disinteresse per ogni forma dello sperimentalismo stilistico del suo secolo.
Con un Bonnard o un Haller, Manzù condivide l'appassionata e controllata indagine sulla figura umana e la sensualità e il distacco caratteristici degli impressionisti, vissuti come esperienza riflessa della coscienza. Questo, nonostante l'Impressionismo abbia quasi esaurito la sua funzione per via della dissoluzione dell'ottica e della spazialità tradizionali operate dalle correnti di Avanguardia.
Eccezionale non è dunque la posizione di Manzù alla fedeltà figurativa, ma il fatto che egli abbia potuto riviverla con adesione così spontanea e profonda da farne uno dei maggiori artisti italiani, non soltanto contemporanei, in un momento cronologicamente così avanzato, e cioè proprio quando il mondo dei sentimenti e dei vagheggiamenti formali che vive nella sua opera, poteva sembrare ormai esaurito.
In un periodo iniziale, dal 1929 al 1931, è visibile in Manzù un certo arcaismo, un riferimento intenzionale all'arte romanica, anche se già sono evidenti soluzioni personalissime (Annunciazione, 1931).
La scoperta di Medardo Rosso lo orienta in modo definitivo e nasce la serie Ritratti Femminili che ne rivelano le eccezionali doti ma, che, inducono anche a ritenerlo soprattutto un intimista che realizza, attraverso una sensibilità puntualissima alla carezza della luce sulla materia tenuamente plasmata - Manzù usa allora spesso la cera - un sentimento di nostalgia e di ironia insieme verso un mondo umbratile e un poco desueto. Ma già la critica più attenta rilevava come, al di là dei motivi più evidenti, affiorassero nelle sculture di Manzù un solidissimo senso della costruzione, una saldezza d'impianto, ben diversi sia dalla visione propriamente "impressionistica" di Medardo Rosso, sia dalle evasioni verso una tenerezza crepuscolare.
La cosa diverrà evidente dopo il 1937, quando la serie dei Cardinali, quella delle Crocefissioni e Deposizioni a tenue rilievo, i Nudi, i Ritratti a figura intera, e gli stupendi disegni di figure e di erbe, riveleranno l'intero spiegarsi del mondo plastico e spirituale di Manzù. Questo suo mondo ha una forza unita all'ironia (ironia con cui sono guardate le figure dei prelati composti in cappa e mitra); è un mondo che esprime anche la protesta contro la disumanità fascista e nazista (spesso apertamente denunciata nei riconoscibili particolari dell'abbigliamento degli aguzzini, non senza noie per lo scultore), mentre, nelle Crocifissioni c'è la sensualità intensa e sanamente spontanea dei nudi che si dispiegano con forza perentoria. In tutto questo Manzù non esclude né la tenerezza né il controllo, ne è testimonianza il bellissimo Ritratto di Francesca (1942).
Nelle opere di Manzù è possibile cogliere, piuttosto che discutibili riferimenti al gusto rinascimentale, l'ascendenza di quel sensuale realismo lombardo che non si era mai completamente interrotto nella scultura dell'Ottocento, ma che la coscienza critica dell'artista fa evolvere con pienezza espressiva. Il "miracolo" di Manzù si rivela così bene condizionato storicamente e cadono le occasioni, o i pretesti, per trarre dalla sua arte una ragione polemica contro le correnti d'Avanguardia dell'arte contemporanea, o per misconoscere, in nome dei programmi di queste, l'arte altissima di lui.
A questa incomprensione della posizione spirituale e storica di Giacomo Manzù deve anche ricondursi il contrasto fra la profondità e la serietà del suo sentimento cattolico e la diffidenza delle autorità ecclesiastiche per la libertà iconografica, spesso assai audace, delle sue sculture di soggetto religioso. Per questa diffidenza, nel 1947, fu escluso dal concorso per la porta bronzea di San Pietro in Roma. Qualche anno dopo però, nel nuovo clima venutosi a creare, furono mutati i giudizi sulla sua opera e gli venne affidata l'esecuzione della Porta della Morte (1964).
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