Esiste una concettualità della fotografia? La macchina fotografica, e l'atto di fotografare, possono costituire in sé stessi l'identità della fotografia stessa? Breve analisi sulla fotografia come medium comportamentale.
Ad una prima ricognizione sul vasto panorama delle arti, si rende evidente un recupero del Concettuale da parte di molti artisti. Questa tendenza si evolve in seno al clima culturale estremamente libero ed anti-ideologico del decennio precedente all'attuale. Gli artisti si rivolgono massicciamente al mezzo fotografico in quanto questo offre la possibilità di operare "in presenza e in partecipazione diretta" (Marra, Fotografia e pittura nel Novecento), cosa da intendere anche come condizione mentale derivante dalla struttura materiale e concettuale del mezzo stesso, come se esistesse una concettualità della fotografia insita nell'oggetto della macchina fotografica.
La fotografia è indicalità in quanto traccia fotochimica che denota un legame iniziale con un referente materiale in alternativa, evidentemente, alla simbolizzazione della pittura.
Affidandoci a Pierce possiamo dire che l'indice è un segno che si caratterizza per la sua particolare produzione ad impronta, o traccia, che stabilisce una connessione diretta tra l'elemento del reale e, ad esempio, quello fotografico.
Non è dunque la somiglianza al reale che dobbiamo considerare come caratteristica fondamentale della foto, ma il suo effettivo portare in seno un'impronta del referente che, a prescindere da ogni manipolazione, rimane dato essenziale.
Quest'idea concettuale della fotografia è da associare, comunque, ad un dato di fatto preciso: la foto non è realtà e neppure irrealtà. Essa è ambigua perché contiene la traccia visiva di un ambiente al quale rimane estranea e non speculare per gli aspetti di bidimensionalità e staticità. Sottolineiamo, inoltre, che la visione delle immagini ottenute attraverso il mezzo fotografico sono innaturali perché risultanti dalla meccanica dell'apparecchio. il quale, non è in grado di riprodurre la complessità cerebrale della percezione umana. In aggiunta a quanto detto, la foto, viaggiando su internet, perde la materialità del supporto cartaceo ma rimane ambigua: continua anche in questo contesto ad essere considerata realtà pur non essendola. Probabilmente tale caratteristica viene ad accentuarsi nella trasposizione Web.
La foto acquista, attraverso i mass media, una aumentata visibilità ma, vengono a modificarsi altri aspetti come ad esempio il rapporto tra dimensione fisica dell'opera e quella del fruitore. La possibile partecipazione diretta descritta sopra, viene elevata alla potenza se pensiamo che ogni individuo che si trova di fronte ad una foto può mentalmente e virtualmente sostituirsi agli occhi del fotografo per recuperare la visione iniziale dell'artista.
La fotografia si presenta così come "medium comportamentale", atteggiamento del vivere, dell'essere al mondo e di interagire con esso. L'atto del fotografare è simile al modo di porsi dell'antropologo nei confronti dell'oggetto che studia, cioè con distanza sufficiente alla lucidità critica e mentale, ma con un'azione partecipe ed emozionale in grado di sviluppare empatia e comprensione dell'ambiente a cui si relaziona.
Il fotografo appartiene ed è presente alla scena captata, potremmo dire prelevata, anche se egli non compare al suo interno. Fotografare è, ancora, un gesto, un comportamento nel senso di un'estensione del sé e dei propri sensi; la macchina fotografica è una protesi, come affermava McLuhan.
Le caratteristiche concettuali della fotografia messe qui in luce chiariscono e sostanziano il perché del suo utilizzo all'interno dell'indagine sui nuovi ambienti della contemporaneità. Per concettualità, infine, intendiamo gli stimoli mentali che provengono dalla foto. Ci riferiamo in particolar modo all'ampliamento delle possibilità mnemoniche, alla manipolazione del tempo, alla foto come specchio fisso in cui guardarsi e controllarsi, al possibile "parziale prelievo" della realtà visibile, al potenziamento del nostro guardare, all'idea del possedere, alla possibilità di evocare ciò che è assente, all'automatismo, alla serialità, "all'ingrandimento estraniante" ed alle innumerevoli altre potenzialità offerte da tale mezzo.
Tratto da:
Nonluoghi - Arte e Spazio Urbano, 1998/99.
Tesi di: Antonella Sportelli.
Relatore: Roberto Daolio.
Accademia di Belle Arti di Bologna.
Riferimenti bibliografici:
Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento, Mondadori, 1999.
Claudio Marra, Scene da camera, Editore Esseggi, 1990.
Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, 1967.
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