L'Infosfera Digitale e il Divario Culturale: Riflessioni dall'Accademia (1998)
- Antonella Sportelli
- 19 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 23 apr
Nel lontano 1998, durante un corso di Mass Media e Arte all'Accademia di Belle Arti di Bologna, affioravano riflessioni che, a distanza di anni, risuonano con sorprendente attualità nel nostro panorama culturale e tecnologico. Appunti frammentari, quasi delle epifanie catturate al volo, ci restituiscono uno spaccato di un'epoca di transizione, dove l'analogico cedeva progressivamente il passo al digitale, e l'arte si trovava a rinegoziare il proprio ruolo in questo nuovo scenario.

Una delle prime annotazioni introduceva il concetto di "infosfera": un'atmosfera densa di simboli significanti che avvolge il nostro pianeta. Già allora si percepiva l'emergere di un ambiente informativo pervasivo, prefigurando l'odierna ubiquità del digitale e la costante interconnessione attraverso la rete. In questo contesto in evoluzione, il videogioco veniva individuato come un inedito punto di contatto tra l'espressione artistica e la rivoluzione digitale. Un'intuizione lungimirante, considerando la crescente sofisticazione narrativa, estetica e interattiva che il medium videoludico avrebbe raggiunto negli anni successivi, arrivando a essere riconosciuto a pieno titolo come forma d'arte.
Tuttavia, queste nuove forme espressive si scontravano con una dicotomia culturale ancora ben radicata: quella tra "cultura alta", identificata con le istituzioni artistiche tradizionali come le gallerie d'arte, e la "cultura di massa" o "bassa", a cui veniva relegato il videogioco e, più in generale, le produzioni digitali. Già allora, nel 98, si percepiva una mancanza di sistematicità nel considerare e analizzare queste nuove forme d'arte, una frammentarietà che rifletteva forse la novità e la rapida evoluzione del fenomeno anche se, fin dagli anni 60/70 si parlava di Computer Art.
Un punto cruciale toccato dagli appunti riguardava la natura stessa dell'arte. Si sottolineava come l'arte fosse intesa come un'espressione individuale plausibile ma relativa, strettamente legata a un determinato periodo storico. Questa relatività si acuiva nel confronto con una "cultura elettronica, digitale", seppur ancora "in nuce", che prometteva di ridefinire i confini dell'espressione e della fruizione artistica.
Un'amara constatazione emergeva riguardo al disinteresse dello Stato nei confronti di queste forme di "arte bassa" che si manifestavano attraverso il digitale. Una miopia che, purtroppo, ha spesso caratterizzato l'approccio delle istituzioni verso le nuove tecnologie e le loro implicazioni culturali. Si paventava, inoltre, una potenziale sostituzione della cultura alta da parte della cultura di massa, un timore che rifletteva le ansie di un'epoca di cambiamento.
Gli appunti proseguivano analizzando il rapporto tra l'arte e la cultura di massa, evidenziando una "funzionalizzazione delle capacità artistiche ad altre cose quali denaro, stato sociale ecc.". Un'osservazione acuta sulla potenziale mercificazione e strumentalizzazione dell'arte in un contesto dominato dalla logica del mercato e della comunicazione di massa.
Un passaggio fondamentale sottolineava come l'arte fosse originariamente valutabile per parametri interni, legati alla sua intrinseca qualità espressiva e concettuale. La cultura di massa, invece, nasceva contemporaneamente alla metamorfosi dei prodotti dell'arte da prodotti funzionali alla cultura e alla società in cui si produce, all'arte funzionale ad ambiti totalmente opposti. Questa riflessione evidenziava una perdita di autonomia dell'arte, sempre più influenzata da logiche esterne.
Il rapporto tra "arte e nuove tecnologie del tempo" veniva identificato come un motore di questo cambiamento. L'arte si svincolava dalla funzionalizzazione anche grazie all'interferenza di fotografia e cinema, due medium che avevano già scosso le certezze sul ruolo e la natura dell'espressione artistica. Questi fenomeni non solo modificavano le attribuzioni di senso, ma, insieme all'informatica e al digitale, smottavano le cose stesse. La rivoluzione digitale ci poneva di fronte alla necessità di "pensare quali nuove cose mettere sui muri o nelle stanze e a ripensare anche la natura e la sostanza della parete stessa". Una metafora potente che alludeva alla trasformazione degli spazi espositivi istituzionali e non e, più in generale, dei luoghi della cultura nell'era digitale.

La riflessione si concludeva con un'osservazione sulla progressiva divergenza tra "arte alta e arte di massa", inizialmente più coincidenti, e si richiamavano i fenomeni di "estetica e produzione artistica post medioevo" e la distinzione tra "Arte/Artigianato" e "Arte alta/Cultura di massa". Infine, veniva citata la figura di Duchamp come un momento di svolta in cui si era cominciato a "dividere" il senso dell'arte, aprendo la strada a nuove definizioni e interpretazioni.
Questi appunti del 1998, pur nella loro concisione, offrono spunti di riflessione ancora oggi estremamente pertinenti. Ci invitano a riconsiderare le categorie culturali ereditate dal passato, a comprendere la profonda trasformazione innescata dalla rivoluzione digitale e a interrogarci sul futuro dell'arte in un'infosfera sempre più complessa e pervasiva. Un prezioso promemoria di come le intuizioni di un passato ancora analogico possano illuminare le sfide e le opportunità del nostro presente digitale.
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