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Nonluoghi: Un Dialogo Tra Spazio Urbano Reale e Virtuale

  • Immagine del redattore: Antonella Sportelli
    Antonella Sportelli
  • 1 ago
  • Tempo di lettura: 17 min


Nel palcoscenico della nostra esistenza contemporanea, dove le trame del reale e del virtuale si intrecciano in un'indistinguibile danza, ci muoviamo spesso attraverso scenari che sfuggono alla consueta grammatica del "luogo".


È un'inquietante familiarità, quella di spazi senza memoria che pure popolano le nostre giornate, quasi fossero un'eco silenziosa di un'identità in perenne transito. Prima di addentrarci in queste effimere geografie, si rende necessario un breve ritorno alle fondamenta del concetto di società, per riproporlo brevemente e analizzarne le nuove sfumature.


Questo ci permetterà di anticipare e inserire in maniera più organica, ampia e completa il soggetto che mi appresto ad affrontare in questo articolo.




Traffico intenso e folla anonima a Times Square di notte, in bianco e nero, simbolo del nonluogo moderno e dell'alienazione urbana
Image © Antonella Sportelli - Descrizione dell'immagine: Scatto notturno a Times Square, New York, in bianco e nero con contrasto accentuato e grana media. Questo scatto mira a demistificare la celebrità scintillante di Times Square, riducendola a una pura densità di materia e movimento. L'immagine non mostra la verticalità dei palazzi, bensì l'ammassarsi indistinto di gente, auto, taxi e cartellonistica luminosa e non. È un affresco di sovraffollamento e anonimato, dove il familiare si deforma nel disorientante. Questa visione trasforma un'icona urbana in un perfetto nonluogo, dove l'identità si dissolve nel flusso incessante, evocando l'inquietudine di Poe dove la familiarità si deforma nel disorientante e il senso si perde nella vertigine del troppo.


La società non è da intendersi solo come un insieme di persone o un mero agglomerato urbano. Essa è qualcosa di ben più complesso e fluido. Riconoscendo la complessità del reale, è indispensabile porre l'accento sui fenomeni di scambio, interazione e comunicazione presenti al suo interno, piuttosto che sui soli elementi fisici che li contengono.


La società non è un contenitore di forma stabile al cui interno si verificano eventi, bensì un'area di scambio e comunicazione i cui confini e la cui organizzazione interna sono labili e soggetti a trasformazione, poiché il suo assetto viene deciso di volta in volta.


In questo contesto, si mette in risalto l'idea di mutamento come essenza stessa dell'organizzazione sociale, alla quale segue un vacillamento della nozione di confine. Questi fatti e concetti, noti e validati nel secolo scorso, sono ancora più evidenti al giorno d'oggi: la virtualizzazione dei rapporti umani e la possibilità di comunicare e lavorare con persone dall'altro capo del mondo attraverso la rete, con interazioni spazio-temporali completamente diverse dal passato, ha modificato la società, o meglio, le società, rendendole più fluide e contaminate.


Se i confini virtuali si sono azzerati, i confini reali sono, comunque, sempre più instabili o, più precisamente, come indica Remotti: "Si tratta invece di privarli della loro apparente naturalità, e di riconoscere il loro carattere profondamente culturale e sociale, quindi convenzionale, variabile, mutevole, problematico, revocabile."




I Confini: Architetti Silenziosi dell'Identità



Essi sono istituiti dalla stessa società e svolgono un compito identitario e di differenziazione di una società rispetto alle altre.


Il confine, visto in quest'ottica, non nega il concetto di scambio e/o comunicazione, ma apre la strada all'idea di "società in termini di interazione". L'interazione, sia essa virtuale o reale, e nonostante la sempre maggiore fluidità delle nostre società, non scardina il "confine" perché esso è un concetto ed è anche un qualcosa di reale: è fatto di mura, strade, edifici e via dicendo.


Le immagini organiche e architettoniche non sono tuttavia da scartare ma da rianalizzare alla luce di una società comunicativa: "Edifici e organismi, 'luoghi' e 'corpi', risultano pertanto espedienti concettuali impiegati dalle diverse società per offrire un'immagine di sé in termini di stabilità e di durata temporale". (Remotti F., Luoghi e corpi, 1993, pp. 28-29).




Il Concetto di Luogo: Abitare l'Anima dello Spazio



Mi concentro sull'immagine architettonica della società perché in questo ambito essa servirà ad approfondire i concetti di luogo e nonluogo (è da precisare che l'immagine architettonica viene scissa da quella organica solo per comodità). Essa, com'è già intuibile, implica l'idea di "luogo" all'interno del quale i membri della società abitano, si muovono ed interagiscono.




Grattacieli storici di New York al crepuscolo, con la bandiera americana che sventola, rappresentano il luogo identitario e la persistenza della storia urbana.
Image © Antonella Sportelli - Descrizione dell'immagine: Scatto serale a New York, in bianco e nero a grana media. Quest'immagine non è un semplice scatto, ma una meditazione sulla persistenza del luogo. La verticalità dei grattacieli storici e lo sventolare della bandiera americana identificano una storia, una tradizione, un senso di appartenenza che sfida la fluidità del contemporaneo. Le luci accese nelle finestre non sono meri bagliori, ma testimonianze silenziose della presenza e dell'atto dell'abitare, elementi distintivi che ancorano questo spazio nella sua identità. Lo stile, influenzato da maestri come Weegee, Ghirri e Cartier-Bresson, fonde la precisione descrittiva con una profondità quasi metafisica, invitando a percepire il luogo non solo come spazio, ma come anima.


Tutti noi, per abitudine e senza ormai far caso, parliamo al plurale di luoghi in quanto essi si differenziano in base alle attività adempiute al loro interno (ne evinciamo, nuovamente, che corpi e luoghi sono in costante osmosi e contatto).


Il luogo è una porzione d'ambiente in cui di solito si vive. Il termine "di solito" non è casuale, esso significa una frequentazione assidua, un'abitudine (nel paragrafo successivo verrà approfondita l'inevitabile connessione corpo-luogo da cui è rilevabile il concetto dell'abitare) e, contemporaneamente, sembra quasi essere il "compromesso" fra identità e necessità di relazione, in altre parole di comunicazione.


Esso si presenta più specificatamente come "identitario, relazionale e storico" (Augé). Identitario perché il luogo definisce l'identità dell'individuo (luogo di nascita), relazionale per l'appartenenza ad un ceto societario (quindi contatti con altri individui), storico come conseguenza di un'unione tra l'identità e la relazione che necessitano di una stabilità fisico-temporale per potersi coniugare. Storia intesa anche come passato, appartenenza a un popolo, memoria. (Augé M., Nonluoghi, 1993, p. 52).


L'antropologo Marc Augé specifica che: "...lo status intellettuale del luogo antropologico è ambiguo. Esso è solo l'idea, parzialmente materializzata, che coloro che l'abitano si fanno del loro rapporto con il territorio, con i loro vicini e con gli altri".


L'autore fa anche notare che il luogo antropologico è geometrico nel senso di una geografia che ci è quotidianamente familiare come presa di coscienza del costituirsi e dislocarsi di certi luoghi e le loro relazioni attraverso sentieri (strade ed itinerari che in parte si sovrappongono ai luoghi stessi pur mantenendo una certa indipendenza e di cui parlerò estesamente più avanti). È come se i luoghi disegnassero gli itinerari.


Rilevo che rapporti identità-relazione e luogo-itinerario rimandano all'idea di confine valicabile e non determinato in assoluto, come descritto nel precedente paragrafo.


In sintesi, il luogo è lo spazio in cui gli individui si incontrano (instaurano rapporti sociali, interagiscono, promuovono scambi e soprattutto comunicano), si riconoscono, riconoscono (familiarità del luogo) lo spazio e la loro appartenenza al medesimo.




Il Concetto dell'Abitare: L'Essere nel Mondo



Il filosofo Martin Heidegger si è occupato della connessione corpo-luogo individuando una "Spazialità dell'Esserci": l'Essere dell'uomo in quanto "Essere-nel mondo è in necessaria relazione con i luoghi. Heidegger specifica ulteriormente che "Nell'abitare risiede l'essere dell'uomo". (Heidegger M., Essere e tempo, 1976, pp. 23-24; Saggi e discorsi, 1980, p. 99).


La frequentazione e la fruizione dei luoghi sono, dunque, un abitare.

Se osserviamo da un punto di vista etimologico il verbo scopriamo insito in esso il concetto di frequentazione nel senso di abitudine: "Abitare deriva dal verbo latino habito, che è un frequentativo di habeo (avere) e, in quanto tale, ha il significato di soler avere o tenere, abitare, dimorare." (Remotti F., Luoghi e corpi, 1993, p. 33).


Remotti prosegue osservando che: "Altrettanto importante è rendersi conto della compresenza in questo contesto semantico di a) abitare, b) avere abitudini, c) indossare certi abiti". Si trae da ciò che l'esperienza dell'abitare comporta un'assunzione delle abitudini locali.


La questione si fa particolarmente interessante osservando che il nesso luoghi-corpi rispunta nelle radici semantiche del concetto di "cultura" (intervento modificatore teso ad una differenziazione che garantisce l'identità) che racchiude in sé ogni tipo di abito, costume, modello". Qui, quasi come in un racconto di Kafka, l'individuo si trova calato in un labirinto di significati, dove il confine tra ciò che è innato e ciò che è acquisito attraverso l'abitare si sfuma, rivelando una sorprendente complessità. È il dramma sottile di una coscienza che si scopre modellata dall'ambiente, in un gioco di specchi tra l'io e lo spazio vissuto.



Nonluogo: Il Crepuscolo dell'Identità



Ho precedentemente definito e chiarito cos'è il luogo, attraverso le parole di Augé, individuandone le caratteristiche principali: l'essere identitario, relazionale e storico. Per opposizione (relativa) il nonluogo è lo spazio metropolitano (o extrametropolitano) in cui queste caratteristiche vengono a mancare.


Chiarisco subito che tanto il luogo che il nonluogo non esistono in forma pura. Essi si sovrappongono pur mantenendo le qualità proprie o vengono determinati in base all'uso soggettivo.


Gli spazi in cui si verificano le proprietà del nonluogo sono principalmente: supermercati, autostrade, svincoli, aeroporti, ospedali e cliniche, alberghi e motels, club di vacanze, campi profughi, stazioni e più in generale "tutti i punti di transito e le occupazioni provvisorie" (Augé M., Nonluoghi, p. 81).




Dettaglio di Times Square con l'abbondanza di cartelloni luminosi e la densità della folla, illustrando l'eccesso di stimoli e il senso di disorientamento del nonluogo.
Image © Antonella Sportelli - Descrizione dell'immagine: Scatto di Times Square, New York, con un'enfasi sui cartelloni luminosi e la folla in movimento. Questa immagine cattura l'essenza del nonluogo attraverso la sua sovrabbondanza di stimoli visivi e la natura effimera delle interazioni. Le luci al neon e i messaggi pubblicitari creano un'atmosfera di costante distrazione, dove l'individuo si perde nella collettività anonima, un'esperienza che risuona con il senso di alienazione e disorientamento tipico delle narrazioni di Kafka..



Sono nonluoghi sia le infrastrutture sia i mezzi di trasporto che permettono di utilizzarle: treni, aerei, autobus, carte di credito, ma anche "...reti cablate o senza fili che mobilitano lo spazio extraterrestre ai fini di una comunicazione così peculiare che spesso mette l'individuo in contatto solo con un'altra immagine di se stesso".


Potremmo definire nonluoghi anche i social e i motori di ricerca, ma solo fino a un certo punto. Se è vero che per il fruitore generale, o medio del WEB, è effettivamente così, bisogna pur tener presente che le big tech che forniscono questi "servizi" hanno strutture reali collocate nei paesi d'origine e rispondono fondamentalmente alle leggi di quei paesi.


Oso affermare che sono dei semi-nonluoghi, o luoghi ambigui. In un certo senso il nonluogo, in questo caso specifico, si sposta nella mente di chi usa questi "mezzi virtuali". Si tratta di un effetto dovuto in parte all'inconsapevolezza dei mezzi utilizzati, e dall'altra parte all'assuefazione alla virtualità.


Ma tornando ai nonluoghi veri e propri, da quanto detto consegue anche un'analisi sulle connessioni fra gli spazi abitativi. I nonluoghi sono luoghi senza nomi, privi di un'essenza e di una peculiarità. Sono talmente privi di caratteristiche locali che è semplice ritrovare questa "specie di spazi", identici fra loro, in tutte le metropoli del pianeta (dall'Europa all'America i nonluoghi si somigliano tutti, sono quasi un campo neutro). Essi sono la caratteristica di quest'epoca.


Se la progettazione delle aree verdi di ogni singola città non viene eseguita tenendo conto di usi e costumi degli abitanti del luogo, persino questi spazi diventeranno nonluoghi. Questo meccanismo è già in atto, purtroppo, per via di politiche green non ben strutturate. Un esempio lampante lo possiamo vedere nelle piste ciclabili realizzate, ultimamente, un po' ovunque: sono identiche, astoriche, non considerano le abitudini e la costituzione delle popolazioni.


Attualmente gli spostamenti sono estremamente agevolati, rapidi, più frequenti e alla portata di un numero sempre crescente d'individui. Aumenta vertiginosamente la possibilità di viaggiare, di fare turismo o semplicemente di spostarsi per motivi professionali. Le condizioni dello spostamento e della velocità favoriscono l'incontro-creazione del nonluogo.


Il viaggiatore segue itinerari, consulta mappe, osserva il paesaggio, utilizza diversi mezzi di trasporto e, che sia un viaggiatore per piacere o per necessità quotidiana di raggiungere il luogo di lavoro, subisce e/o attiva il meccanismo del nonluogo: "Lo spazio del viaggiatore sarà così l'archetipo del nonluogo" (Augé M., Nonluoghi, 1993, p. 81).


Il passeggero è costretto ad esibire un documento d'identità o un biglietto che certifichi la regolare ammissione al nonluogo prima dell'effettivo accesso prendendo in seguito posizione nell'eventuale carrozza del treno (metrò, aereo o altro mezzo) in cui incontra altri individui solitari nella collettività.


Il soggetto viaggiante attraversa diverse località senza fermarsi e guarda il paesaggio dal finestrino: i luoghi gli sono indicati attraverso richiami sonori o visivi (scritti).


"Questa pluralità di luoghi, l'eccesso che impone allo sguardo e alla descrizione... e l'effetto di spaesamento che ne risulta... introducono, fra il viaggiatore-spettatore e lo spazio del paesaggio che percorre o contempla, una rottura che impedisce di vedervi un luogo, di ritrovarvisi pienamente, anche se si prova a riempire questo vuoto attraverso le molteplici e dettagliate informazioni proposte da guide turistiche... o dai racconti di viaggio". (Augé M., Nonluoghi, 1993, p. 81).


È in questa situazione che il luogo, visto di sfuggita, usufruendo dei mezzi di trasporto, si trasforma per osmosi in un nonluogo nel senso che non è più percepito come uno spazio identitario, relazionale e storico. Esso perde la riconoscibilità dettata dalla pratica e dall'utilizzo. In questo caso si guarda ma non si vede a causa della carenza di conoscenza reale del posto. Avviene un fenomeno per cui lo sguardo diventa interno allo spettatore rivolgendosi al suo intimo: basti pensare che ogni passeggero di nonluoghi sembra assorto in meditazioni sulla propria vita, assente dal proprio posto e proiettato nei suoi pensieri o nella sua mente.


Lo sguardo sul paesaggio si aliena dal luogo per riflettersi sul viaggiatore in maniera introiettiva. Il viaggiatore è solo con se stesso, si osserva in una situazione di solitudine-accompagnata che lo sgancia, momentaneamente, dal ruolo assunto in società e lo mette in contatto con la propria immagine.


Muoversi viaggiando è seducente e costituisce l'animazione del nonluogo e a volte è il fine del medesimo. Questo perenne moto di ricerca nel dislocarsi, induce ad un sentimento di solitudine-libertà con la possibilità di osservarsi e creare spettacolo con la propria figura. Che poi questo strano meccanismo si innesta anche dentro i propri profili social, anche se qui esiste una certa tendenza edonistica che in un nonluogo reale non sarebbe possibile. Il nonluogo è anti narcisistico.


Durante il percorso-viaggio il luogo è paradossalmente cancellato. Ci troviamo nel nonluogo che rimanda solo a se stesso: ".. è proprio lo sguardo che si fonde nel paesaggio e diviene oggetto di un secondo e inassegnabile sguardo-lo stesso, un altro". Tali spaesamenti dello sguardo sono inseriti da Augé nel più vasto ambito di una condizione di Surmodernità.


In questo modo affrontiamo il nonluogo evidenziandone due realtà complementari, sovrapponibili seppur distinte: gli spazi utilizzati per il trasporto e il transito, e il rapporto personale con i medesimi.


È giusto rilevare che il luogo struttura ed organizza la vita sociale subendone a sua volta il plagio e l'influenza. Il nonluogo crea altresì una "...contrattualità solitaria" che evidenzia l'identità del singolo e la relaziona a quelle di molti altri individui rivelando una "identità condivisa" (Augé M., Nonluoghi, p. 86).


Questa identità è assolutamente provvisoria e vincolata dalla fruizione del nonluogo che concede, successivamente, l'anonimato e induce verso la solitudine-similitudine. Alcuni luoghi sono definibili: virtuali e immaginari. Questi ultimi sono creati con le parole ed usati tramite le stesse. Sono semplicemente costituiti dall'immaginazione e dall'idea personale e mentale dei fruitori. L'esempio dei social è un classico ma mi riferisco anche ad alcune "stanze virtuali" dilaganti in internet che si presentano come un ibrido tra luogo e nonluogo. Questi mondi si costruiscono con parole scritte e vivono solo di esse, come ho già specificato. Anche blog e siti, in particolare quelli dedicati a luoghi reali, possono diventare nonluoghi se usati in un certo modo e se sono visti (nella SERP dei motori di ricerca) senza essere cliccati.


I reali nonluoghi, al contrario, hanno un rapporto diverso con le parole; essi si definiscono come tali anche attraverso i testi o segnali che vi sono inclusi e che ne promuovono le modalità d'uso. In questo caso la parola, il messaggio o il segnale è parte intrinseca del nonluogo poiché gli individui che vi accedono devono necessariamente consultarli e decifrarli per poterli percorrere.


I messaggi indicano le modalità di comportamento da adottare oppure suggeriscono altri luoghi che probabilmente non saranno visitati che si trasformano, per tale processo, in luoghi-stereotipo e/o luoghi virtuali.


L'emblema di questo meccanismo è la classica autostrada che, per praticità e necessità, evita di attraversare i nuclei delle città ma ne segnala l'esistenza, le caratteristiche locali, la prossimità, la possibile accessibilità ed a volte la loro bellezza storica, industriale o culturale.


Questi segnali suggeriscono uno spazio astratto che, nel frequente e ripetitivo spostamento di un pendolare, diventa usualmente familiare ma spesso sconosciuto.

Il nonluogo è anche sovraccarico d'immagini grazie alle: "...partecipazioni incrociate degli apparati pubblicitari.." che si frappongono tra individuo e collettività. Attualmente anche le mappe virtuali facilitano l'innescarsi di questo meccanismo, come le App per orientarsi in regioni sconosciute. Per un approfondimento di questi temi vedi La vita sullo Schermo di Sherry Turkle, Apogeo, Milano 1997. Il testo è datato, considerando l'evolversi veloce delle nuove tecnologie, ma ancora valido per gli spunti concettuali.


Il movimento, le innumerevoli immagini, segnali, parole, il non concedere spazio alla storia, la considerazione del tempo presente come unica realtà, la contrattualità e la solitudine fanno del nonluogo il "Contrario dell'utopia". Dall'insieme di questi fenomeni se ne deduce che: "Ciò che è significativo nell'esperienza del nonluogo è la sua forza d'attrazione inversamente proporzionale all'attrazione territoriale, alla pesantezza del luogo e della tradizione". È ovvio che tutti gli elementi messi in luce non esauriscono la complessa struttura del nonluogo, ma ce ne danno un'idea precisa.


Nell'accingersi a compiere un viaggio, inoltre, ognuno di noi si documenta attraverso agenzie, riviste e vari media sulla meta da raggiungere. Entriamo in contatto con immagini, parole e messaggi che anticipano virtualmente la località prescelta che, a sua volta, è stracolma delle sue stesse rappresentazioni.


Raggiunto il luogo prescelto e l'alloggio relativo, che spesso offre un modello abitativo e sociale simile, se non uguale, a quello lasciato alla partenza, il turista desidera fotografare le bellezze del posto e fotografarsi nel nuovo ambiente come profondo piacere di autenticare il suo soggiorno. Augé descrive questo fenomeno come: "Mondo in finzione ovvero la trasformazione della natura, delle città e del mondo in un prodotto cui segue il fenomeno di un ambiente derealizzato". (Augé M., La guerra dei sogni, 1998).


Apro una breve digressione per analizzare concisamente il rapporto che intercorre fra nonluoghi e mondo in finzione per poi proseguire verso problematiche tipiche dei mass media.


Ritengo opportuno indirizzare la nostra attenzione anche su questi temi a causa dell'inserimento massiccio dei sopracitati mondi artefatti nella nostra vita quotidiana ed in maniera specifica nei luoghi di transito presi in esame in questo contesto.


Un esempio clamoroso di questa derealizzazione o messa in finzione è costituito da Disneyland. Osserviamo infatti il curioso prolificare di questi "centri di divertimento" in tutto il mondo, compreso quello virtuale e persino cinematografico.


Loro caratteristica è quella di essere sempre simili; città del divertimento costruite sul modello di un mondo che esiste solo nella fantasia ed è già stato messo in forma da altri mezzi e linguaggi virtuali quali: film, giornali, televisione ed altro. Augé si esprime affermando che "Disneyland è lo spettacolo stesso che viene spettacolarizzato: la scena produce quel che era già scena e finzione..." evidenziando così una sorta di spettacolarizzazione elevata al cubo. (Augé M., Disneyland e altri nonluoghi, 1999, p. 24).


La ricostruzione di uno scenario di un film o di un cartone animato è una finzione su pellicola riportata nella realtà di un luogo. Questo crea un seducente effetto di realtà della finzione in un gioco intellettivo che si evidenzia quasi esclusivamente in immagini più che altro mentali. Si potrebbe benissimo affermare che Disneyland non esiste, è solo: "...gratuità assoluta di un gioco d'immagini...".


La spettacolarizzazione che allontana dalla realtà si ritrova in forma intensa nelle pubblicità turistiche. Queste ci propongono visioni che avranno senso solo dopo averle catturate nelle nostre foto, come se noi avessimo bisogno di essere sicuri di aver vissuto compiendo l'atto dello scatto con noi all'interno di scenari noti.


Nell'accingersi a visitare tali strutture ci imbattiamo sovente nelle produzioni fotografiche presenti in riviste e giornali che promuovono le bellezze del luogo.


Il turista che accede a Disneyland affronta un sistema che ha lo stesso sapore di de-realtà contenuto nelle immagini pubblicitarie: "...stranamente simile alle foto viste su giornali e alle immagini della televisione. Era senza dubbio questo il primo piacere di Disneyland: ci si offriva uno spettacolo in tutto e per tutto simile a quello che ci era stato annunciato."


La conformità di questi luoghi consente il sottile piacere di riuscire a verificare e riconoscere qualcosa di familiare anche in luoghi geografici lontanissimi dal nostro. In questo modo abbiamo individuato una componente immaginaria e virtuale coesistente con la città.


Parlando di città e immaginario non desidero insistere sulla loro coesistenza bensì su un rapporto di tipo bidirezionale tra i due termini. In uno e mille modi città ed immaginario si nutrono a vicenda, crescendo in uguale misura e prestandosi reciproco aiuto. È altresì evidente come le eventuali modifiche dello spazio socio-urbano interferiscano, interagiscano e promuovano lo sviluppo di un sempre differente immaginario.


Le eventuali alterazioni del tessuto urbano, l'esuberanza di immagini, Internet, le nuove possibilità comunicative ed ogni altro rapido e quotidiano mutamento modificano inevitabilmente il rapporto tra la fantasia e la realtà.


Nascono così nuove situazioni da analizzare alla luce di quella che Augé indica come città-finzione o "...città planetaria simile a tante altre città planetarie, la città d'immagini e di schermi dove lo sguardo si perde nei giochi di specchi delle ultime sequenze di The Lady of Shangai, o ancora quella che cerca di prendere forma, virtualità sempre incompiuta, nelle periferie della città vecchia che ci ricongiungono al problema del nostro interagire con l'immagine".


In queste realtà siamo registi ed attori che fabbricano immagini attraverso filmati e fotografie e consumano lo spazio trasformandolo a nostro uso e consumo. Ci appropriamo, senza accorgercene, dello spazio che c'è stato fornito e del movimento che lo anima, cambiandone involontariamente sia la natura di luogo che la tempificazione e mutando la storia con questi nostri giochi di immagini.


Nei paesi industrializzati si evidenziano tuttavia nuove linee di divisioni meglio definite come ghettizzazioni proprio all'interno delle città: paesi, quartieri, istituzioni private e blindate specchio di uno scontro tra ricchezza e povertà. Queste suddivisioni tendono ad esaurire così la continuità dello spazio metropolitano e a mettere in mostra una necessità di difesa e delimitazione dei propri ambienti.


Anche lo spettacolo televisivo evidenzia questa divisione, questa paura. Da una parte esiste la tv istituzionale, dall'altra le antenne paraboliche e satellitari per la comunicazione più sofisticata per poi passare alle televisioni digitali e ai canali televisivi, se così possiamo dire, esistenti solo sulla rete (esempio canali YouTube).


Ecco allora sorgere le Fiction Cities sopracitate (Disneyland) nel tessuto stesso delle metropoli. Esse nascono per creare spettacolo al loro interno e accogliere come una zona franca anche coloro che, vivendo nella periferia lontana dai centri di potere, si considerano attori non protagonisti della città.


Questi paradisi del divertimento si stanno mostrando con un aspetto ibrido fra realtà e finzione creando confusione fra i due termini. Un fenomeno simile è quello della realtà aumentata e della realtà virtuale, qui ci sono risvolti che approfondirò in altri articoli. Forse, in un futuro non lontano, le stesse AI generative, creando paesaggi e volti indistinguibili dal reale, porteranno alla nascita di nonluoghi puramente algoritmici, spazi di simulazione dove la memoria e l'identità si dissolveranno in un'infinità di possibili rappresentazioni, una sorta di vertigine dannunziana del molteplice senza fondamento.


L'immaginario diventa un fattore importante nel contesto di queste metropoli perché crea una percezione individuale e caratteristica degli spazi cioè un modo personale di viverli, descriverli ed intenderli. Si determina così un'osmosi fra i termini città e immaginario necessario per la sopravvivenza di entrambi.




Surmodernità: L'Eccesso come Essenza



Ho spiegato più volte che le città cambiano a ritmo vertiginoso, il mondo si modifica sempre più rapidamente e, facendo ricorso all'antropologia del quotidiano di Augé, ho già chiarito la struttura mutevole dei luoghi che abitiamo e dei molti modi di interagire con essi.


Ora mi appresto a indicare le principali modalità di questo cambiamento.


Innanzi tutto si sono alterati l'utilizzo e la percezione del tempo e continuando a seguire le orme di Augé, affermo con lui che: "la storia accelera". L'accelerazione è costituita da una effettiva sovrabbondanza di eventi messi in luce da un'informazione sempre più capillare che ci rende indirettamente partecipi di tutto ciò a cui assistiamo. La necessità di dare un senso al mondo, oggi particolarmente avvertita, probabilmente non è altro che il risultato di questa sovrabbondanza.


Si è individuata, seppure parzialmente, la modalità essenziale della surmodernità che è eccesso. L'eccesso di tempo, causando l'intelligibilità dello stesso, deriva dalla sovrabbondanza di avvenimenti.


La seconda figura della surmodernità è l'eccesso di spazio che paradossalmente significa anche restringimento del pianeta. Penso a conferma di quanto sopra esposto alla conquista spaziale, ai nuovi e velocissimi mezzi di trasporto che ci rendono tutto facilmente raggiungibile e alle immagini che si riversano da tutto il mondo nelle case attraverso la televisione e la rete. Si tratta di veri e propri "mutamenti di scala".


Tutto ciò favorisce il moltiplicarsi dei nonluoghi e una sostanziale modificazione dell'assetto e della concentrazione urbana.


La terza figura dell'eccesso è quella dell'ego cioè dell'individuo. Si assiste ad una esasperata individualizzazione di ogni cosa soprattutto in Occidente dove l'uomo ha sempre avuto maggiore rilevanza sino a poter essere considerato come un mondo in sé.

Sto parlando di quella che Augé chiama "individualizzazione dei riferimenti", ovvero una sorta di accentuazione della singolarità.


Concludo sottolineando che la surmodernità è solo una parte della contemporaneità e che ciò che la costituisce e rappresenta in modo adeguato è proprio il nonluogo.




Conclusioni sui Nonluoghi come Un Dialogo Tra Spazio Urbano Reale e Virtuale: La Tensione Tra Luogo e Nonluogo nell'Era Digitale.



Questo articolo "Nonluoghi: Un Dialogo Tra Spazio Urbano Reale e Virtuale", radicato nelle riflessioni di fine millennio e rilette attraverso la lente dell'attualità, rivela come i concetti di luogo e nonluogo siano più che mai pertinenti nel contesto di una società sempre più fluida e connessa. Abbiamo esplorato la natura malleabile della società, la complessità dei confini che definiscono identità e interazione, e l'atto fondamentale dell'abitare come connessione profonda tra corpi e spazi. L'emergere dei nonluoghi, intesi non solo come spazi fisici di transito ma anche come realtà virtuali e mentali, ci sfida a riconsiderare il nostro rapporto con l'ambiente, con gli altri e con noi stessi.


In un'epoca di surmodernità, caratterizzata da un eccesso di tempo, spazio ed ego, la capacità di discernere e interpretare questi fenomeni diventa cruciale. Le mie fotografie, scattate in una metropoli come New York, non sono solo illustrazioni, ma testimonianze visive di questa tensione: come un luogo iconico possa rivelare la sua anima di nonluogo, o come, al contrario, la verticalità e le luci abitate possano riaffermare una storia e un'appartenenza. L'ibridazione tra il saggio accademico e l'espressione fotografica non è casuale; essa mira a creare un'esperienza immersiva, un ponte tra pensiero critico e percezione estetica. In questo senso, l'articolo stesso diviene un nonluogo di riflessione, un punto di transito per chi cerca una profondità che la superficialità odierna tende a negare, invitando il lettore a un viaggio non solo concettuale, ma anche visivo ed emotivo, nella speranza di stimolare nuove domande e un rinnovato senso di meraviglia.


E in questo perpetuo moto, quale eco della nostra anima risuona nei corridoi silenti del nonluogo, e quale nuova identità ci attende al di là dell'ultimo orizzonte digitale?




Bibliografia


  • Augé, M. (1993). Nonluoghi. Eleuthera, Milano.

  • Augé, M. (1998). La guerra dei sogni. Eleuthera, Milano.

  • Augé, M. (1999). Disneyland e altri Nonluoghi. Bollati Boringhieri, Torino.

  • Heidegger, M. (1976). Essere e tempo. Longanesi, Milano.

  • Heidegger, M. (1980). Saggi e discorsi. Mursia, Milano.

  • Remotti, F. (1993). Luoghi e corpi. Bollati Boringhieri, Torino.

  • Turkle, S. (1997). La vita sullo Schermo. Apogeo, Milano.

  • Sportelli, A. (1999). Nonluoghi, Arte e spazio urbano. Tesi di Laurea (Antropologia culturale di indirizzo estetico), Accademia di Belle Arti di Bologna, Sezione Scultura.






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