Analisi delle fotografie urbane di Alessandra Tesi e Luisa Lambri attraverso concetti espressi da Claudio Marra, professore di Storia della Fotografia all’Università di Bologna, e dall'antropologo Marc Augé, noto per aver teorizzato i Nonluoghi.
La tendenza alla “presenza” ed “all'esserci” espressa in generale dall'arte e permessa, in particolare, dalla fotografia, fa sviluppare nuove analisi sul rapporto ambiente/soggetto. Questo "essere nell'ambiente" viene facilitato, come accennato, proprio dal mezzo fisico della macchina fotografica. Le fotografie urbane della Lambri e della Tesi, ad esempio, non sono una rappresentazione di ambienti, ma una sorta di azione atta a carpire una parte del visibile: “... sembra di poter dire che il mezzo fotografico diviene la condizione necessaria per una sorta dì performance virtuale sull'ambiente” (Claudio Marra, Scene da camera).
L’ambiente viene spettacolarizzato e reso teatrale nel senso di essere proposto al duplice sguardo dell’artista e del fruitore in una sorta di super esibizione di ciò che registra la macchina fotografica. Si assiste ad un coinvolgimento del pubblico, dell’ambiente e dell’artista in una specie di sovrapposizione tra l'esperienza fisica e quella che permette tale mezzo.
Il rapporto dell’artista con la macchina fotografica, inoltre, prevede un duplice approccio sintetizzabile in un io-tecnologico ed un io-psicologico. A seconda del prevalere dell’uno o dell’altro sistema si avranno tendenze diverse.
Per la Lambri prevale un io-tecnologico, per la Tesi un io-psicologico. Entrambe evitano la presenza umana per acuire l’attenzione sul vuoto dei Nonluoghi con due modi tanto differenti quanto attigui. Le due artiste utilizzano la macchina fotografica come una protesi, come un’estensione che permette un’azione nell'ambiente e dell'ambiente. La maggior parte dei loro lavori, inoltre, illustrano un'urgenza generalizzata di vedere gli spazi e gli ambienti, comunemente attraversati, che diversamente sfuggirebbero all'attenzione. Vogliono mostrare gli spazi che esse attraversano e vivono.
La Lambri satura di blu anestetizzante immagini di corridoi e zone di transito al chiuso di ipotetiche strutture di uffici: "Quegli spazi sono senza memoria, senza storia, perché vivono in un eterno presente." (Gravano, Crossing, Progetti fotografici di confine). La Tesi cerca di impregnare paesaggi, corridoi e stanze di hotel decadenti con colori lucidi, patinati, emozionali e raggelanti al tempo stesso. Si direbbe una ricerca di tracce della relazione che si crea tra luoghi e persone. Lo sguardo della Tesi cerca le impronte dei corpi negli ambienti; è interessata a catturare i frammenti nascosti della vita quotidiana e a cogliere un senso di "corruzione della realtà".
Le fotografie della Lambri non hanno storie da raccontare o luoghi da descrivere perché raccolgono il senso di vuoto asettico, impersonale ed astraente, quasi mentale, di certe aree. Tali "rappresentazioni" non hanno pretese di veridicità o documentazione, sono un espediente per apprendere una conoscenza personale degli spazi attraversati dall'artista.
Da questa prima descrizione si intuisce che Luisa Lambri sfrutta le possibilità di un io-tecnologico per dare ampio spazio alle caratteristiche del mezzo fotografico, limitando, per quanto possibile, il suo intervento manuale, fisico ed emozionale: lascia libera la macchina e si comporta come una spettatrice disinteressata, estranea e distante nonostante l'effettiva partecipazione all'evento fotografico. La Lambri afferma di non essere interessata ad alcun dettaglio fisico specifico delle architetture anzi, sottrae i dettagli in favore della spersonalizzazione ripercorrendo e ricalcando, con questi criteri, gli aspetti dei Nonluoghi (Augé, Nonluoghi).
I soggetti preferiti dalla Tesi, invece, sono, come abbiamo accennato, le innumerevoli camere e corridoi di hotel o motel e le zone di transito in generale. Qui si sofferma su parti di arredo marginali, su tubature, carte da parati e tutto quello che solitamente i nostri occhi trascurano. Se da un lato l'artista coglie la presenza/assenza dei locatari ed il depositarsi, solo immaginario, delle loro orme, dall'altro restituisce il senso dei luoghi che vengono riassettati per eliminare, in una sorta di sterilizzazione mal riuscita, le tracce dei passanti. Lo sguardo della Tesi si rivolge a questi ambienti in modo fisso e rigido. Sono immagini claustrofobiche le sue, inquietanti, sature di un colore spesso monocromo e pervase di una spietata ed allucinata lucidità. Tutto sembra rimanere bloccato nella carta patinata ed iper-lucida delle stampe fotografiche fino a rende visibili i minimi dettagli: sembrano annunciare una sospettosa situazione di immobilità.
Gli ordinari ambienti di obsoleti alberghi si caricano di fascino inconsueto e misterioso. Le sensazioni, oltre che visive, vogliono essere tattili ed evocare emozioni in uno stato di repulsione ed attrazione. Appuriamo, per quanto detto, l'evidente prevalenza di un io-psicologico.
Sintetizzando, potremmo dire che la Lambri indaga sui Nonluoghi restituendone le specifiche caratteristiche e, la Tesi, trasforma i Nonluoghi in luoghi. Quest'ultima, infatti, non aziona il meccanismo del Nonluogo che prevede uno spettatore disinteressato alla visione esteriore e propenso ad osservare lo spettacolo del suo io, al contrario, crea un cortocircuito e connota gli spazi in maniera emotiva ed intima. Riporta alla memoria, attraverso le tracce dei passanti, gli eventi probabili che si sono sedimentati nelle stanze nonostante la pulitura subita. Ogni anfratto sembra rimandare alla presenza delle diverse persone che li hanno vissuti in un'osmosi tra corpo e luogo. C'è, infine, una ricerca sensoriale e sensuale nelle immagini, come nei titoli, rivolta ad esprimere un'esperienza tutta fisica in una sorta di proiezione del sé sulle cose.
Anche se la Lambri afferma: "Fotografo il luoghi come se fossero abitati, evidenziandone una dimensione intima ed affettiva", non possiamo che ribadire il suo proporre interni ossessivi, oggettivi, lindi e con luci rigorosamente artificiali confermando una presa di distanza ed un prevalere dell'io-tecnologico. Ella non dimostra un interesse plastico o architettonico e, anche quando fotografa le architetture di Alvar Aalto, riesce ad eludere perfettamente l'impronta e le caratteristiche formali di questi spazi restituendoli come anonimi e irriconoscibili, ovvero come Nonluoghi. Registriamo, tuttavia, un'immedesimarsi dell'autrice nei posti che percorre e fotografa in una ricerca di relazione con l'esterno.
Bibliografia
Marc Augé, Nonluoghi, Elèutheria, Milano 1993.
Roland Barthes, La camera chiara, Einaudi, Torino 1980.
Viviana Gravano, Crossing, Costa & Nolan, Genova-Milano 1998.
Claudio Marra, Scene da camera, Essegi, Ravenna 1990.
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