Le città si sono ingrandite e sviluppate, in un breve arco di tempo, e continuano ad essere in perpetuo mutamento e movimento. La crescita delle città ha determinato la nascita di metropoli e nuove identità. Le grandi città non hanno più porte e non hanno più confini ben delimitati, distinguibili; sono diventate un territorio di difficile investigazione a causa del carattere estremamente labile e mobile che le accompagna. L'esperienza della quotidianità ci fa intuire che esse rappresentano, in ogni modo, il momento determinante dell'essere uomo: "... la città amplifica mille volte il potere dell'uomo, e anche se nei particolari lo riduce al decimo, lo ingrandisce cento volte nel complesso..." (cit. Musil, L'uomo senza qualità).
È con questa realtà che dobbiamo confrontarci: la metropoli è il cuore del mondo attuale e per mutarla bisognerebbe conoscerla e riconoscerla come unica realtà. Sarebbe necessario, quindi, evitare di pensare ad un'ipotetica città ideale e concentrarsi sulla condizione presente per individuare le forme dell'attuale composizione culturale, sociale ed urbana.
La metropoli va attraversata, vissuta e percepita. È un'esperienza, perciò è mobile ed instabile come un pensiero. È un viaggio, ma non quello del turista dallo sguardo distratto, bensì un transfert senza spostamenti, nel presente della cultura individuale e collettiva. Questo approccio non vuol dire trascurare il passato ma è indubbio, come fa notare Ilardi, che: "La memoria si va oscurando per il susseguirsi sempre più frenetico d'avvenimenti ed eventi che cancellano (spesso) il ricordo dell'esperienza precedente."
Inoltre, i fenomeni d'innovazione e consumismo restringono sempre più non solo lo spazio della decisione politica, ma anche l'idea della profondità della Storia, spezzando irrimediabilmente quella concatenazione d'eventi che, provenienti dall'abisso del passato, determinavano, fino a ieri ed inevitabilmente, il futuro. Lo scardinarsi del rapporto passato, presente e futuro favorisce l'atteggiamento del vivere la città al presente che ogni individuo mette in atto perché impossibilitato a coniugare gli altri termini di riferimento.
La mobilità, il conflitto ed il consumo sono gli elementi che ci consentono di individuare l'uomo della metropoli. La metropoli è anche il luogo in cui la soggettività si consuma ed è sommersa da un magma di omologazione, in cui gli avvenimenti si accendono e si spengono con una rapidità sorprendente e tutto si confonde in un insieme di "conflitti evanescenti e soggetti effimeri" (cit. Irlardi, La città senza luoghi), ma, per paradosso, è anche, come vedremo in seguito, il luogo in cui si sviluppano le nuove identità.
Il punto di partenza di tali rivolgimenti è da individuare negli anni Settanta: è proprio nella fase più acuta dei movimenti di questi anni che è possibile assistere all'esplosione del consumismo. Si spende di più, le città esplodono in maniera disordinata e caotica, ci si sposta frequentemente dalla lontana periferia al centro per fruire le diverse possibilità commerciali proposte. Il centro città diventa un luogo di luce, di libertà, d'occasione d'incontro e di scambio, e la periferia diventa degrado soffocante degli individui con scarse possibilità economiche. Proprio in questi anni si assiste alla nascita, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, dell'antropologia delle società complesse, o diversamente nominata antropologia urbana.
L'estendersi della città determina una dilatazione dello spazio urbano nel cui vago perimetro si percepisce l'opporsi di un dentro (centro storico) e di un fuori (periferia). Il continuo spostamento fra queste due zone, com'è evidente, cambia notevolmente l'aspetto territoriale della città, oltre che i modi di vita degli individui. Negli anni Ottanta, ormai la città è esplosa sul territorio. Si verifica, ancora, un accrescimento imprevisto della concentrazione metropolitana fatta della disomogeneità di condizioni sociali ed economiche e di diversificazioni culturali.
La vera metropoli è questa, e la sua forma prevalente rimane la periferia nonostante le eventuali disseminazioni d'aree integrate, tanto al centro che nella stessa down town, ed il non del tutto reciso legame con il passato.
La periferia è una zona marginale non solo nel senso negativo del termine. Grazie, infatti, al suo disordine, alla sua incontrollabilità, al suo essere territorio senza regole quasi allo stato brado, nel senso di una limitata presenza anche del potere dello Stato, è caratterizzata da una maggiore libertà che favorisce il nascere di laboratori d'innovazione e rigenerazione culturale ed identitaria.
In qualche modo, i ghetti, grazie ad un'identità parzialmente anarchica, costituiscono nuove possibilità creative e culturali che risalgono al centro della metropoli per essere successivamente riassorbite in una possibile moltiplicazione e contaminazione dei linguaggi. Abbiamo individuato, così, due tendenze opposte e compresenti nella metropoli, ovvero: l'omologazione e la nascita di nuove creatività (per approfondimenti: Vattimo, La società trasparente).
Tornando ad un'analisi volta in maniera più specifica al territorio della metropoli, ci sembra opportuno evidenziare alcune differenze, facendo una concisa comparazione, tra le strutture urbane delle città occidentali e quelle orientali. Esaminando, anche superficialmente, la planimetria di Los Angeles, come di numerose altre metropoli americane, notiamo la sua struttura reticolare e quadrangolare che prevede zone centrali e periferiche. Strade e piazze sono numerate o individuate da nomi, ma non per questo sempre riconoscibili e distinguibili tra loro. E, come già menzionato in precedenza, il centro è il luogo in cui si condensano i valori delle civiltà, con strutture adeguate a rappresentarli, determinando uno spostamento continuo tra i poli centro e periferia.
Analizzando ora la planimetria di Tokyo, il suo centro, al contrario di quello di Los Angeles, è paradossalmente vuoto: "... tutta la città ruota intorno ad un luogo che è insieme interdetto e indifferente, dimora mascherata dalla vegetazione, difesa dai fossati d'acqua, abitata da un'imperatore che non si vede mai, cioè, letteralmente, da non si sa chi." (cit. Barthes, L'impero dei segni).
Il centro, nel caso di Tokyo, non viene fruito e vissuto, bensì imprime un movimento rotatorio alla circolazione di automobili e persone. Osservando la planimetria della città è facile constatare che, per contro, ciascun quartiere ha a suo vantaggio un proprio piccolo centro identificabile nella stazione, dove si condensano le più svariate strutture commerciali con la possibilità di incontrarsi, di partire, di soddisfare le più differenti esigenze e, probabilmente, anche di socializzare.
Le singole stazioni, sviluppando e condensando diverse opportunità, ci fanno pensare ad una sorta di ibrido tra luogo e Nonluogo. Si può facilmente notare, ad esempio, che nelle città dell'occidente la struttura fisica del mercato è, spesso, accentrata ma, a Tokyo, la merce è sparpagliata all'interno e all'esterno della stazione grazie a una miriade di piccoli e grandi negozi diversamente dislocati che, come vedremo in seguito, aiutano ad orientarsi e muoversi per le strade diventando un punto di riferimento. I quartieri di Tokyo, pur mancando di una struttura geometrica quadrangolare, hanno un nome ed una identità precisa che si configura anche attraverso la particolare struttura di ogni singola costruzione e attraverso le diverse stazioni ferroviarie. Le vie, invece, senza nomi e numeri, sono prive di identificazione: "La più grande città del mondo è praticamente inclassificata, gli spazi che la compongono nei dettagli sono innominati." (cit. Barthes). È curioso notare che l'individuazione del luogo e del relativo indirizzo si esplica attraverso un disegno estremamente particolareggiato con punti di riferimento quali negozi, stazioni, eccetera.
Questo sistema, apparentemente complesso, favorisce la conoscenza della città strada per strada, vicolo dopo vicolo, sviluppando un'attenzione visiva ed un apprendimento mnemonico e formale da etnologo ed etnografo. Gli orientali si avvalgono prevalentemente dell'esperienza vissuta e della gestualità del disegno evitando, per quanto possibile, ogni tipo di astrazione, mentre, per gli occidentali, la conoscenza urbana è veicolata da cartine ed altro materiale appartenenti alla cultura stampata. In oriente dunque, l'uomo sembra appropriarsi in misura maggiore della città facendo vacillare il concetto di Nonluogo.
Abbiamo rilevato, in poche righe, un sistema di vita urbana che se, da un lato, sembra espandersi e contaminare ogni nucleo cittadino determinando una certa omologazione, dall'altro no; e l'esempio di Tokyo ci aiuta a comprendere come questo fenomeno sia spesso parziale e compresente alle molte possibili variazioni all'interno di ciascuna metropoli. Prendendo atto della conformazione, sia fisica che culturale, della periferia che si costituisce in un duplice indirizzo: omologazione e creazione di nuove identità e culture, avvaloriamo nuovamente l'ipotesi che il contesto urbano sia un'esperienza ricca di eventualità tutte da esplorare e che non è pensabile rinchiudere in schemi teorici fissi ed assoluti ciò che si è cominciato da pochi anni ad esplorare.
Le difficoltà che si presentano sono da un lato quelle di poter affermare ipotesi in contraddizione tra loro, dall'altro quella di forzare l'identità di tali spazi all'interno di teorie rigide e già precostituite che pretendano di dare un'interpretazione e chiarificazione definitiva e rassicurante dei problemi. Ci proponiamo, quindi, di svolgere la nostra analisi attraverso il contributo di alcuni antropologi che abbiano preso in considerazione le difficoltà sopra esposte. Cercheremo di non escludere l'aspetto scientifico della ricerca senza cadere in facili schematismi.
Accademia di Belle Arti di Bologna.
Tesi: Nonluoghi - Arte e spazio urbano.
Autore: Antonella Sportelli.
Anno accademico: 1998-99.
Corso: Antropologia urbana di indirizzo estetico.
Relatore: Roberto Daolio.
Bibliografia:
- Marc Augé, Nonluoghi (1992), trad. it. Elèuthera, Milano, 1993.
- Roland Barthes, L'impero dei segni (1970), trad. it. Einaudi, Torino 1984.
- Massimo Ilardi, La città senza luoghi, Costa & Nolan, Genova 1990.
- Robert Musil, L'uomo senza qualità (1978), trad. it. Einaudi, Torino 1996.
- Gianni Vattimo, La società trasparente (1989), Garzanti, Milano 1998.
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