Tecnologia, sicurezza, informatica e Intelligence: la più grave crisi dell'Intelligence indagata e raccontata da Marco Minniti. Stralci tratti dal libro Sicurezza è Libertà di Minniti a proposito del caso Snowden.
Dall'esperienza di Marco Minniti all'Intelligence.
"Il 4 giugno 2013, Edward Snowden consegnò decine di migliaia di documenti top secret che provavano l'esistenza di programmi di sorveglianza di massa alla National Security Agency. Il giorno seguente, il «Guardian» (seguito poi dal «Washington Post») pubblicò il primo articolo, ripreso dai giornali di tutto il mondo, scatenando la più grave crisi della storia dell'intelligence occidentale che si ricordi dalla fine della Seconda guerra mondiale. A provocare questo terremoto era un giovane contrattista della NSA, che da solo era riuscito a squarciare le procedure della più potente organizzazione di intelligence mondiale.
Com'era stato possibile che un contrattista fosse riuscito a insinuarsi così a fondo nella parte più protetta dell'intelligence americana? Eravamo sconvolti, perché, tra le varie agenzie, l'NSA, quella che storicamente è sempre stata più nell'ombra anche rispetto alla Cia, era il sancta sanctorum dell'intelligence americana per l'uso di tecnologie particolarmente d'avanguardia, spesso assolutamente esclusive.
Il secondo squarcio aperto dalla crisi Snowden, che fece scattare una sorta di allarme rosso, riguardava il rapporto tra intelligence alleate. Nei documenti resi pubblici per la prima volta diventava evidente la possibilità che vertici di Paesi alleati fossero stati ascoltati in maniera sistematica, o in occasione di particolari appuntamenti internazionali.
Tra parentesi, la vicenda sollevava anche la questione del rapporto tra sicurezza e privacy o, ancora meglio, tra sicurezza e libertà.
Nell'immediato, la prima reazione fu quella di verificare se iniziative analoghe fossero state svolte anche dai singoli Paesi che facevano parte dell'Alleanza. Le stesse domande, le stesse questioni vennero poste alle diverse intelligence, anche perché l'opinione pubblica premeva per conoscere la verità.
La vicenda Snowden fu particolarmente dolorosa perché minò il principio della fiducia, un principio imprescindibile dell'intelligence, benché spesso difficile da preservare. La mancanza di una comunicazione adeguata e condivisa degli obiettivi delle attività svolte rimise in campo sospetti, preoccupazioni e tensioni.
Ricordo ancora oggi le reazioni di fuoco da parte dei singoli Stati membri dell'UE. L'Italia decise di procedere secondo un doppio binario: da una parte ribadimmo con grande chiarezza che quel tipo di attività non era ammissibile, e il fatto stesso che la nostra legge le impedisse rendeva più forte i nostri convincimenti e le nostre dichiarazioni. Dall'altra, chiedemmo al nostro interlocutore americano di condividere con noi le informazioni e le attività di indagine sul caso Snowden.
Nel mese di luglio del 2013 il capo della NSA venne nel nostro Paese per incontrarsi con i suoi colleghi italiani. Ci incontrammo anche personalmente nel mio ufficio. Il generale Alexander era una persona di grande valore e di forti principi - una volta si sarebbe definito un ufficiale tutto d'un pezzo - eppure durante quel colloquio mi resi conto del senso di smarrimento che provava per la gravità dell'accaduto. Alla mia domanda diretta: «Sappiamo fino a quanto in profondità è arrivato Snowden?», la sua risposta fu: «No, non lo sappiamo». Era la prima volta che una grande agenzia di intelligence del Paese più potente al mondo si trovava di fonte all'ignoto. Lo stato d'animo con cui il direttore della Nsa ci parlava era quello di chi ha appena subìto un furto nel proprio appartamento, e non riesce, ancora, a ricostruire con lucidità il danno economico, come se fosse ancora concentrato solo sul danno affettivo. Per noi italiani, invece, la preoccupazione non era rivolta alle rivelazioni che erano state fatte ma a quel che ci riservava il futuro.
In quell'occasione all'Italia fu riconosciuto il ruolo di interlocutore di primissimo piano, che ci permise di inserirci in un cerchio più ristretto, limitato fino a quel momento ai Paesi di lingua e tradizione anglosassone. Nel gergo veniva definito five eyes, i cinque occhi: Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda. A ben guardare, ci si rende conto che questi cinque Paesi non avevano in comune soltanto la lingua, ma anche la legislazione che regolava le loro attività di intelligence. Misuravamo l'esclusività di questo cerchio quando ricevevamo dei documenti con una parte del testo omessa, sostituita dalla dicitura: only five eyes, soltanto per i cinque occhi
La vicenda di Snowden ripropose questa distanza fra i membri dei five eyes e gli altri, anche se durante l'incontro con il generale Alexander riuscimmo a ribadire la necessità inderogabile di un rapporto forte tra l'Italia e gli Stati Uniti. A un certo punto lui disse: «D'altro canto, in questi anni e soprattutto negli ultimi dodici mesi, abbiamo dovuto fare i conti con un significativo ridimensionamento del budget finanziario» e citò una cifra che non ricordo con precisione ma doveva essere nell'ordine di miliardi di dollari. In quel momento mi accorsi che solo il taglio subìto dalla NSA in un anno era pari a sei volte l'intero budget di tutta l'intelligence italiana. E la NSA era soltanto una delle diciassette agenzie dell'intelligence americana. Di fronte a cifre simili cifre, diventa evidente che un Paese come il nostro deve saldamente dotarsi di una strategia di alleanze internazionali con altre nazioni che condividano la stessa visione geopolitica del pianeta e gli stessi valori. È necessario instaurare con loro una collaborazione che garantisca una complementarietà nell'uso delle risorse, soprattutto sul territorio delle nuove tecnologie. L'italia da sola non potrebbe competere con gli altri giganti del mondo, ed è per questo che servono un'integrazione scientifica e tecnologica, e una capacità di utilizzare al meglio i propri mezzi.
Il clamore suscitato dalla vicenda Snowden aveva generato un senso di sfiducia e smarrimento nell'opinione pubblica. Reagimmo a tutto ciò con un doppio movimento: da un lato firmammo con il garante della privacy un protocollo vincolante per la gestione dei dati. Era la prima volta che i servizi segreti costruivano un rapporto diretto con chi era chiamato a vigilare sulla riservatezza delle comunicazioni personali. Sembrava un azzardo. Quasi una contraddizione in termini. Eppure, con il senno di poi, possiamo dire che ha funzionato. Dall'altro rafforzammo un'iniziativa programmata da tempo: volevamo avvicinare il mondo dell'intelligence alla società civile e per questo avevamo organizzato una serie di incontri live con i principali atenei italiani, un road show che ebbe un successo strepitoso. Decine di tappe, in decine di università italiane per spiegare che cos'è l'intelligence e per aprire le porte a questi giovani. Qualche giornale titolò: In tour per trovare nuovi 007. Ed era effettivamente così: spiegammo agli studenti che ciascuno di loro poteva mandare il proprio curriculum per autocandidarsi. Raccogliemmo oltre settemila domande tra il top delle università italiane e cinquanta di questi ragazzi furono assunti tra le nostre fila. In assoluto era la prima volta che entravano nei «servizi» persone che non provenivano dalle forze armate e dalle forze della polizia. la loro presenza poteva contribuire ad aprire nuovi orizzonti.
Servivano nuovi progetti, ma serviva anche lavorare partecipando lealmente a un'alleanza di cui noi non potevamo e volevamo fare a meno. Lo dovevamo fare senza rinunciare a una fortissima specificità. Rendendo quell'orizzonte indispensabile per gli altri nelle loro relazioni con il nostro Paese. Questo orizzonte non poteva che essere quello del rapporto con il Mediterraneo."
Marco Minniti
2016 - 2018 Ministro dell'Interno.
2013 - 2016 Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
con delega alle informazioni per la sicurezza, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica.
2006 - 2008 Viceministro dell'Interno.
2000 - 2001 Sottosegretario di Stato del Ministero della Difesa.
1998 - 2000 Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
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