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Il Guercio delle Puglie Cap. 4: La Rivolta di Nardò e la Carneficina dei Monaci

  • Immagine del redattore: Antonella Sportelli
    Antonella Sportelli
  • 1 giorno fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Romanzo tra Fantasia e Storia a cura di MispoRosso. Editing & Images © Antonella Sportelli



Introduzione:


Dove eravamo rimasti? Nel capitolo precedente, l'inquietudine si era impadronita del Conte Giangirolamo II. Ignorando i presagi mistici, il "Guercio" aveva scoperto una minaccia fin troppo umana: una missiva intercettata svelava che la città di Nardò, suo feudo prezioso, stava tramando il tradimento in combutta con i francesi. L'ira del Conte si è accesa. Ora, quell'ira sta per abbattersi sul Salento.


Nota per il lettore:


"Le leggende qui narrate sono figlie della memoria dei borghi pugliesi, nate sotto l'oppressione del Conte Giangirolamo II Acquaviva d'Aragona. Sono racconti orali che il tempo ha trasformato in mito locale. Laddove la storiografia ufficiale ha filtrato i fatti per restituire una fredda verità documentale, noi recuperiamo ciò che è stato scartato: il fattore umano. Questo racconto romanzato unisce la cronaca alla leggenda per esplorare l'animo oscuro del Seicento, rievocando l'eterna lotta tra oppressi e tiranni, non dissimile dalle atmosfere manzoniane e dalla figura di Don Rodrigo."



L'Eredità Avvelenata e la Scintilla della Rivolta



A cosa era dovuto tutto quel movimento di soldati spagnoli, di fedelissimi e di mercenari raccattati nel contado che andavano a ingrossare le file del Conte Tommaso Filomarino da Taranto, padre della consorte Isabella? La polvere si alzava sulle strade aride della Puglia per un solo motivo: il tradimento.


Si era diffusa la voce, ormai certezza, di una congiura silenziosa ordita da signorotti locali filo-francesi proprio nel cuore di Nardò. Quella città non era un possedimento qualunque per Giangirolamo: era un dono di sangue e di nozze, giunto a lui tramite la madre Caterina e unificato alla casata grazie al matrimonio con Isabella Filomarino. Nardò rappresentava il potere dei Duchi, l'unione delle linee dinastiche. Perderla significava perdere l'onore.


La congiura era stata smascherata per un soffio: una missiva intercettata a un emissario francese aveva svelato il piano. Non solo la rivolta di Nardò, ma la distruzione totale del Castello e la testa del Guercio erano gli obiettivi. L'attenzione del Conte si sdoppiò: un occhio a Conversano per difendere la roccaforte, l'altro, quello guercio e terribile, fisso su Nardò.



Il 21 Luglio: L'Inferno nel Salento - La Rivolta di Nardò



Le braci dei moti di Masaniello del 1647 non si erano mai spente davvero. L'antico odio per il padrone, prodigo solo di tasse e gabelle, trovò sfogo nell'estate più torrida del secolo.



Dipinto a olio in stile barocco tenebrista che raffigura una caotica battaglia urbana durante la rivolta di Nardò del 1647. Soldati spagnoli in armatura combattono contro popolani armati tra edifici in fiamme, fumo e corpi a terra, con forte chiaroscuro.


Il 21 luglio 1647 fu la scintilla. Nardò chiuse le porte. Le cittadelle si serrarono pronte a resistere, ma sottovalutarono la ferocia di Giangirolamo. La superiorità numerica dell'esercito ducale e l'acredine personale del Conte trasformarono l'assedio in una macelleria. Non fu una battaglia, fu una collisione violenta tra soldati professionisti e civili disperati. Da entrambe le parti, i morti non si contarono più.



La Mattanza del 20 Agosto e i 22 Monaci



Dopo giorni di scontri alternati a infide tregue, la guerriglia urbana riprese vigore, non risparmiando nessuno: vecchi, donne, bambini. Ma il momento più nero, quello che avrebbe segnato la storia e la leggenda del Guercio, giunse il 20 agosto 1647.


La furia degli spagnoli sfondò le ultime difese. Vennero catturati gli indiziati principali dell'insurrezione. Tra loro, non c'erano solo capipopolo, ma uomini di Chiesa. La rabbia del combattimento non lasciò spazio a processi, né umani né divini. Ventidue monaci (o canonici, come la storia incerta sussurra) furono trascinati fuori dalle chiese, giudicati a furor di popolo e di spada come gli istigatori morali della rivolta.



Dipinto a olio in stile caravaggesco che mostra il Conte Giangirolamo II Acquaviva, "Il Guercio", a cavallo in armatura, che guarda dall'alto un gruppo di monaci inginocchiati e terrorizzati in una piazza di Nardò. L'illuminazione è drammatica e crea forti ombre.


Il Conte non ebbe pietà per l'abito talare. Furono trucidati sul posto. Ma la morte non bastava a placare l'ira di Giangirolamo. Secondo la leggenda nera che ancora oggi si mormora a bassa voce, i corpi furono incatenati ed esposti come monito, per poi essere inviati a Conversano a "futura memoria".



Le Sedie di Pelle Umana: Orrore o Leggenda?



È qui che la storia sfuma nell'incubo. Si narra che, giunti a Conversano, i cadaveri dei prelati furono scuoiati su ordine del Conte. Con la loro pelle, conciata come cuoio di bestiame, si rivestirono le sedie del salone ducale. Un ammonimento terrificante, un messaggio di sangue e carne rivolto ai neretini sopravvissuti, ai conversanesi e a chiunque osasse tramare nell'ombra contro il Guercio. Sedersi su quelle sedie significava sedersi sul tradimento schiacciato.


Tuttavia, nella macabra conta di quella mattanza, gli sgherri si accorsero di un dettaglio inquietante: ne mancava uno. Il Priore. Il Conte s'irretì, il volto deformato dalla rabbia, ma finse indifferenza. Pensò che fosse morto nella calca o fuggito come un ratto.


Diede ordine di impiccare i resti dei corpi lungo una via di campagna molto trafficata, affinché la puzza della morte ricordasse a tutti la "vittoria" di Nardò. Quella strada, che terminava in un crocicchio dominato dai cadaveri penzolanti, prese il nome di "Via delle Forche". E ancora oggi, chi passa di lì, sente un brivido lungo la schiena, anche se la Storia ufficiale ha cercato di smentire l'orrore di quei giorni.


Ma il Priore era davvero sparito nel nulla? Lo scopriremo nel prossimo capitolo.




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