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  • Immagine del redattoreAntonella Sportelli

L'Arte Europea tra le due Guerre - Il Ritorno all'Ordine.

Aggiornamento: 2 dic 2023


Arte Europea tra le due Guerre. Le Avanguardie: dal Surrealismo alla Metafisica sino al Ritorno all'Ordine del Realismo e del Verismo.


Arte Europea tra le due Guerre: le Avanguardie.


Con lo scoppio della guerra i vari gruppi di Avanguardie artistiche si disperdono. I contatti fra le nazioni si interrompono bruscamente venendo a far cessare quella circolarità della cultura che permette agli uni di conoscere ciò che fanno gli altri, in un rapido aggiornamento e in rapida assimilazione ed elaborazione delle idee. Si spezzano fili importanti. I singoli artisti restano isolati. Molti di essi partono per la guerra; alcuni vi restano uccisi, altri feriti. Quanto, finalmente, i superstiti possono ritrovarsi, ognuno di loro, per le esperienze compiute, è mutato, così come è mutata la situazione generale. Impossibile riprendere il cammino nel punto in cui era stato interrotto.


Arte Europea tra le due Guerre, immagine artistica di un soldato che guarda una esplosione

Se si fa eccezione per il Surrealismo, che continua a sostenere la preminenza del sogno, dell'inconscio sulla realtà (e che perciò fa ancora parte delle cosiddette "avanguardie storiche"), tutta l'Europa, finite le terribili distruzioni della guerra, tende a ricostruire se stessa sulla base della chiarezza razionale in opposizione ai sottili intellettualismi dei gruppi di avanguardia, incomprensibili ai più.


In Francia, quasi tutti gli artisti ne hanno risentito. Questa tendenza condurrà coerentemente al Purismo: "il più alto piacere dello spirito umano è la percezione dell'ordine, e la più grande soddisfazione dell'uomo è collaborare o partecipare a quest'ordine", scrivono nel 1918 Ozenfant e Le Corbusier, creatori del Purismo francese.

Ma d'altra parte la Francia è tradizionalmente dotata di uno spirito chiaro, "cartesiano", e che, già da prima della guerra, i membri della Section d'Or (1912) discutevano dell'importanza della matematica nella creazione delle opere d'arte.


In Italia la Metafisica, malgrado il riferimento agli enigmi inquietanti degli oggetti e degli spazi, riafferma l'ordine razionale prospettico; passata la sfuriata futurista, la Metafisica resta fondamentale come guida per evitare, almeno ai migliori, di cadere nel facile equivoco di scambiare il "ritorno all'ordine" (che deve essere un ordine mentale) con un semplicistico invito alla piatta imitazione della realtà.

A Roma, la rivista Valori Plastici, fondata nel 1918 da Mario Broglio, esprimendo la concezione idealistica della pittura metafisica, si proponeva altresì di sprovincializzare l'arte italiana, portando a conoscenza dei lettori le novità raggiunte in campo internazionale e richiamando, al tempo stesso, allo studio dei pittori italiani del Trecento e del Quattrocento, per trarne l'insegnamento dei valori "pari", i valori volumetrico spaziali, quelli che si dicono appunto "valori plastici".

Ma non è la sola. La chiarezza razionale, la solidità della forma, la precisione del disegno, la nettezza del colore sono elementi comuni a quasi tutti gli artisti.


Ritorno all'Ordine significa dunque ritorno alla realtà; non l'imitazione di essa, né la ripresa del Realismo o Verismo sociali ottocenteschi (Courbet, Fattori, Signorini), ma piuttosto un realismo tre-quattrocentesco trasfigurato su un piano intellettuale. Perciò lo scrittore Massimo Bontempelli lo definì Realismo Magico, dandone una definizione universalmente accettata.


Nel 1922 il Fascismo saliva al potere. Il Futurismo, che pure condivideva le idee fasciste sulla guerra, sull'interventismo, sul nazionalismo, sulla superiorità degli italiani, disturbava, con i suoi atteggiamenti distruttori e provocatori, la borghesia. Il Ritorno all'Ordine non poteva perciò essere incoraggiato da un partito che si presentava agli occhi della borghesia italiana come sostenitore dell'ordine sconvolto dalle lotte sociali e restauratore dei valori tradizionali (patria, onore, famiglia, rispetto dell'autorità), messi in crisi non soltanto dalle avanguardie culturali (Dada), ma ancor più dai partiti politici di sinistra, che chiedevano una radicale modifica di tutte le strutture sociali in nome della libertà individuale e collettiva, a favore delle classi dette "subalterne". Nel 1921, un anno prima dell'avvento al potere del Fascismo, a Livorno, dalla scissione dell'ala sinistra del Partito Socialista, era nato il Partito Comunista Italiano.


Intanto esisteva un equivoco di fondo nel riallacciarsi, in modo apparentemente uguale, al Trecento e al Quattrocento, che sono invece due periodi storicamente ben diversi l'uno dall'altro. La semplificazione delle forme nel Trecento (il riferimento d'obbligo era Giotto) ha un significato medioevale e comunale: tende a rendere evidente, in funzione delle masse, il significato educativo della storia religiosa narrata; nel Quattrocento significa invece ridurre la realtà a volumi geometrici, chiari, elementari e perciò immediatamente percepibili dalla ragione che dà ad essi il proprio ordine logico attraverso la prospettiva.


C'è poi la lunga polemica fra chi intendeva il Ritorno all'Ordine come modo per creare uno stile nazionale unitario e chi, invece, lo intendeva come recupero delle tradizioni locali, contro tutti gli influssi stranieri.

Quest'ultima tendenza è sostenuta principalmente dal movimento artistico e letterario detto Strapaese (sviluppatosi dopo il 1926), di cui sono promotori Mino Maccari con la rivista Il Selvaggio e Leo Longanesi con il quindicinale L'Italiano, cui si aggiunge, successivamente, lo scrittore Curzio Malaparte.

Il termine Strapaese servì ad indicare un atteggiamento culturale chiuso e provinciale; se questo elemento, coerente peraltro con l'autarchia del regime fascista (la politica dell'autosufficienza nazionale), è retrivo, ebbe tuttavia il merito, certo involontario, di opporsi, in nome di autentici valori popolari locali, al nazionalismo dello stesso regime.


Contro Strapaese sorse Stracittà, movimento letterario sorretto dalla rivista Novecento di Massimo Bontempelli, il cui fine era invece quello di promuovere una cultura apia e aperta a tutto ciò che era moderno, comprese la scienza e la tecnica.


IL NOVECENTO ITALIANO


Mentre a Roma la rivista Valori Plastici esprimeva la concezione idealista della pittura metafisica, a Milano si formava (ad opera di sette pittori: Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Fani, Gian Emilio Malerba, Pietro Marussig, Ubaldo Oppi, Mario Sironi) un gruppo artistico denominato Novecento. Ne era ispiratrice, madrina, organizzatrice Margherita Sarfatti (Venezia, 1880 - Cavallasca, 1961), studiosa d'arte contemporanea, collaboratrice del Popolo d'Italia, il giornale ufficiale del Partito Fascista, amica personale di Benito Mussolini. E, forse, non è soltanto una coincidenza che il gruppo, le cui premesse la Sarfatti divisava fin dal '20, si costituisce proprio nell'ottobre del 1922, a Milano, la città da cui, nello stesso mese e nello stesso anno, prendeva le mosse la marcia su Roma in seguito alla quale il Re Vittorio Emanuele III conferiva a Mussolini l'incarico di capo di governo, aprendo la strada alla dittatura fascista.


Il Novecento, infatti, pur non avendo un'ideologia precisa come l'avevano avuta i molti movimenti artistici precedenti, pur non potendosi perciò configurare come una vera tendenza, né esprimendo in alcun modo, almeno in questa prima fase, temi fascisti, era certo gradito al Partito Fascista perché appariva contraddistinto dal Ritorno all'Ordine.

In realtà Mussolini, intervenendo all'inaugurazione della mostra del Novecento, il 26 marso 1923, pronunciò un breve discorso molto cauto, dichiarando testualmente: " È lungi da me l'idea di incoraggiare qualche cosa che possa somigliare all'arte di Stato. L'arte rientra nella sfera dell'individuo". Tuttavia, successivamente, pur mantenendo sempre un certo distacco rispetto alle varie tendenze artistiche italiane, andò sempre più accentuando il progetto di creare un'arte nazionale fascista.


Il Novecento, frattanto, cresceva di importanza ed accoglieva sempre nuovi membri, trasformandosi, a partire dal 26, in Novecento Italiano con l'ambizione di rappresentare artisticamente il volto di tutta la nazione, ma non esisteva un programma unitario. Il Novecento Italiano non aveva vita facile, minato da rivalità personali interne e da scontri fra gruppi regionalisti (ad esempio i toscani contro i milanesi). Le polemiche, accesissime, vertevano su motivi stilistici e contenutistici, rinfacciandosi vicendevolmente di non essere sufficientemente fascisti. Mussolini, non compromettendosi a favore degli uni o degli altri, non partecipò all'inaugurazione della seconda mostra (1929). L'ultima offensiva del Novecento venne promossa da Sironi con l'invito ad inventare un'arte fascista, murale come quella della tradizione italiana e, perciò, destinata a vasti spazi, monumentale, sociale, collettiva, educatrice, con figure classicamente arcaicizzanti e architetture romaneggianti per conferire maestosità alla rappresentazione.


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